Saggi e articoli
Le frontiere della didattica

Le frontiere della didattica

Innovazione a scuola nell’era digitale

iGen has arrived. Born in 1995 and later, they grew up with cell phones, had an Instagram page before they started high school, and do not remember a time before the Internet.

Così definiva la nuova generazione dei ragazzi digitali Jean M. Twenge, docente di psicologia dell’adolescenza presso l’Università di California, riferendosi alla generazione costantemente connessa e immersa negli smartphone.

Già nel 2001, Prensky aveva distinto tra “digital natives” e “digital immigrants”.[1] Affermava che i nostri studenti hanno subìto un cambiamento radicale. Che non sono più quelli per cui il sistema educativo è stato pensato.[2] Da allora abbiamo fatto passi da gigante.

Gli iGen

L’impiego massiccio e sempre più pervasivo delle nuove tecnologie nella vita di ogni giorno ha ormai ridefinito il modus vivendi di tutti noi e influisce sulle performance educative di quelli che oggi vengono definiti “iGeneration”.[1]Generazione Z”,[2] “Homeland generation”.[3] La letteratura scientifica sta ancora cercando di identificare con esattezza le caratteristiche di questa nuova generazione che è in continua evoluzione.

Di certo, senza peccare di un eccesso di generalizzazione, si può affermare che gli studenti di oggi sono globali, interconnessi e iperconnessi; hanno uno stretto rapporto con il mondo digitale e usano la tecnologia sia per comunicare o informarsi, sia per studiare.

Si trovano immersi in un mare di nuovi strumenti digitali, reti di comunicazione e forme di socializzazione che li porta a nuovi e diversificati modelli di apprendimento, spesso in autogestione, innescate dal processo quasi inconsapevole di esplorazione di linguaggi, giochi, interazione sociale, problem solving.

La possibilità di accesso alla web technology, con la smaterializzazione dei contenuti, la loro facile accessibilità e flessibilità (possono essere creati, condivisi, riutilizzati e modificati in continuazione), hanno potenzialmente aumentato significativamente le possibilità educative dei social media, mettendo in discussione il paradigma educativo tradizionale. Il modo di conoscere è cambiato, perché la conoscenza non si raggiunge solo nel luogo fisico “scuola”, ma anche negli spazi virtuali on line. Non più soltanto sul libro cartaceo, con il suo ordine costituito, ma anche su blog (di insegnanti o di scuole), piattaforme di apprendimento, Risorse Didattiche Aperte (OER) e tutti quegli strumenti online che consentono attività didattiche aperte e condivise.

La scuola oggi

Tutto questo “in potenza”. La situazione che emerge nella scuola di oggi è che una popolazione di docenti che parla una lingua datata (cioè quella dell’era pre-digitale), cerca di insegnare a una popolazione di studenti che si esprime con un linguaggio radicalmente diverso e mostra un modo di apprendere che si caratterizza per gli strumenti che ha a disposizione: clicca su link e acquisisce informazioni in pochi secondi seguendo i propri processi mentali e compiendo simultaneamente operazioni multisensoriali che coinvolgono diverse attività cognitive (multitasking). Ecco perché non amano leggere. I libri probabilmente non sono abbastanza veloci e non catturano il loro interesse.[4]

L’ambiente scuola non tiene ancora conto degli aspetti psicologici e antropologici che l’impatto con queste tecnologie ha dettato; l’ambiente scuola fatica ancora a comprendere pienamente la loro rilevanza per l’estensione dei confini fisici e mentali sia degli studenti che degli insegnanti.

Le scienze cognitive e le neuroscienze ci insegnano che la mente, il corpo e l’ambiente sono strettamente interconnessi.[5] Pertanto, se l’ambiente che ci circonda è caratterizzato dal web e dalla connessione in mobilità, diventa chiaro come le dinamiche della trasmissione della conoscenza non siano più basate sulla memorizzazione e la trasmissione verticale, ma sull’interazione e la condivisione orizzontale. I processi di apprendimento si configurano oggi come attività sociali condivise e le tecnologie non come semplici ausili alla didattica, ma il fulcro intorno a cui si articolano le pratiche educative di una scuola che vuole definirsi 4.0.

Il Piano Scuola 4.0

In tal senso, si ripongono tante speranze nel Piano Scuola 4.0 del  PNRR, nell’ambito del quale la scuola ha ricevuto le risorse per l’azione di trasformazione delle aule in ambienti innovativi di apprendimento e per la realizzazione di laboratori per le professioni digitali del futuro nelle scuole secondarie di secondo grado. Leggere il documento del Piano Scuola 4.0 come previsto dal PNRR equivale a prendere atto di cosa significhi oggi insegnare nell’era digitale: next generation classrooms (classi di nuova generazione), next generation labs (laboratori di nuove generazione), peer learning (educazione fra pari), problem solving (risoluzione di problemi), cloud computing (utilizzo di server remoti), hosting (servizio di allocazione su un server), cyber security (sicurezza informatica), Internet of things (oggetti in connessi in rete). Di certo, significa come prima cosa acquisire le competenze adeguate per comprendere il pomposo fraseggio anglosassone di cui il piano è ricco e, quindi, applicare le corrette pratiche di insegnamento nel nuovo ecosistema di apprendimento.

Il DigCompEdu

Il DigCompEdu (European Framework for the Digital Competence of Educators),[6] elencando le competenze che un educatore deve avere per insegnare nell’era digitale, chiarisce come le tecnologie digitali possano migliorare e innovare insegnamento e apprendimento e come i motori del cambiamento siano proprio i docenti e gli educatori. Non bastano competenze tecnico-informatiche o competenze digitali che si mettono in campo nella vita quotidiana, ma sono fondamentali competenze professionali specifiche.

Insegnare nell’era digitale significa oggi operare in nuovi setting formativi dove le tecnologie si fondono e armonizzano in un ecosistema classe composto da media vecchi e nuovi, in un processo di sinergia e complementarietà. In questo nuovo setting, il libro non è più, insieme all’insegnante, l’unica fonte di conoscenza, protagonista del lavoro didattico,  ma è un coprotagonista delle nuove pratiche didattiche multimodali (prima che multimediali), che sollecitano la ragione così come il corpo e le emozioni.

Insegnare nell’era digitale significa “educare navigando”, come suggerisce Carlo Infante.[7] Significa fare del web il nuovo ambiente di apprendimento e favorire il processo di apprendimento in autonomia. In questo senso, diventa fondamentale anche guidare gli studenti non tanto a usare le tecnologie, competenza che già hanno, quanto piuttosto a farlo in maniera sostenibile, efficace e fruttuosa, “con dimestichezza e spirito critico”.[8]

Il Digital Use Divide

Significa far passare gli studenti dalla “confidenza tecnologica” alla “consapevolezza tecnologica”.[9] Oggi, infatti, non si parla più tanto di digital divide, ma di digital use divide. Insegnare navigando presuppone insegnare a navigare “sapendo cosa cerchiamo, come cercarlo, come valutarlo e come utilizzarlo”.[10] In questo senso, diventano fondamentali opportuni interventi formativi affinché si diffonda tra le giovani digitali quella digital literacy che li guidi nei momenti in cui mettono in gioco la loro identità, producono contenuti, praticano il multitasking (o task-switching),[11] affrontando, spesso inconsapevolmente, questioni relative a privacy, sicurezza, proprietà intellettuale e anche qualità e veridicità dell’informazione.  

La Gamification

Insegnare nell’era digitale significa non ignorare i linguaggi che gli studenti utilizzano nella loro vita quotidiana e i contesti virtuali e ludici in cui trascorrono il loro tempo, per questo la Gamification rappresenta una metodologia efficace, in quanto sovrappone e applica al mondo dell’istruzione le regole e strategie tipiche del gioco. Si tratta quindi di “pensare, progettare e ricollocare meccaniche, dinamiche ed elementi di gioco in sistemi o processi quotidiani con lo scopo di orientarsi alla risoluzione di problemi concreti o, parallelamente, per motivare specifici gruppi di utenti”.[12]

L’Intelligenza artificiale, la realtà aumentata e la realtà virtuale

In un mondo in cui virtuale e reale convergono, il modello educativo tradizionale si può trasformare, o addirittura rovesciare, utilizzando metodologie attive di enhanced VR (realtà virtuale), AR learning (realtà aumentata) e intelligenza artificiale, che attivano un apprendimento esperienziale capace di sollecitare un processo cognitivo dinamico e proattivo.

Il concetto dell’esperienza ha dato un contributo notevole allo sviluppo dell’Inquiry Based Learning (IBL),[13] una metodologia dinamica e flessibile che si basa sull’esperienza e sul problem solving e mira a offrire agli studenti strumenti che permettano di imparare attraverso l’esperienza cognitiva, emotiva e sensoriale tutti quei concetti che vengono vissuti in prima persona ed elaborati ragionandoci. La realtà aumentata, la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale, applicate alla didattica, si esplicano nelle metodologie dell’Inquiry Based Learning, trovando fondamento nelle teorie pedagogiche costruttiviste che promuovono l’uso della situazione problematica e dell’indagine come strumento fondamentale di apprendimento.

Per realtà aumentata si fa riferimento a un metodo che sfrutta i dispositivi tecnologici per amplificare alcune percezioni della realtà.  Il nostro campo visivo viene arricchito di nuovi elementi tramite l’uso della fotocamera del dispositivo di cui stiamo facendo uso, secondo il principio dell’overlay, cioè della sovrapposizione di immagini digitali aggiuntive a quelle reali già esistenti.  In un contesto come quello della realtà aumentata, gli studenti non si limitano a osservare, ma possono anche toccare gli oggetti che incontrano e, al contempo, hanno anche elementi interattivi di supporto che fanno di questa attività un’esperienza attiva.

Con la realtà aumentata a metafora visiva o georeferenziata[14] le attività didattiche impossibili diventano possibili: si può esplorare l’infinitamente grande (l’universo) e l’infinitamente piccolo (la cellula), viaggiare per il mondo, sperimentare fenomeni naturali come i terremoti o l’esplosione di un vulcano, etc. Si pensi, ad esempio, ai videogiochi, ai QR code, alle immagini che prendono vita in 3D, a SnapChat, e a tutte le applicazioni di Google come Google Earth, Google Arts & Culture. Solo per fare alcuni esempi, i QRcode, oggi diffusamente usati anche nelle versioni digitali dei libri di testo, rappresentano una delle prime forme di espansione del reale verso il virtuale, perché permettono di recuperare informazioni aggiuntive solo inquadrando il QRcode; Google Arts & Culture[15] consente agli utenti di visitare le collezioni d’arte di tutto il mondo,[16] esplorare Marte,[17] nuotare con gli squali[18] e anche altro, senza mai lasciare l’aula.

La realtà virtuale va ancora oltre rispetto alla realtà aumentata, perché è una tecnologia immersiva, cioè simula alla perfezione una realtà nella quale ci si immerge, coinvolgendo la vista, l’udito e la propriocezione.

Oggi non c’è più una differenza teorica tra realtà virtuale e realtà aumentata, visto che i dispositivi usati quotidianamente (smartphone, pc, console per videogiochi, visori VR) permettono di accedere alla realtà virtuale facendo esperienza di realtà aumentata. Vista la pervasività delle tecnologie nella vita quotidiana, risulta chiaro come la dimensione immersiva che questi due metodi comporta possa determinare forme di coinvolgimento attivo fortemente motivanti negli studenti, in quanto coinvolgono prevalentemente la loro sfera emotiva.

Allora, insegnare nell’era digitale significa usare la mixed reality per sfruttare la motivazione degli studenti al fine di innescarne la riflessione; significa far leva sulla loro intelligenza corporea per guidarli al ripensamento critico dell’esperienza stessa. D’altra parte, è riconosciuto il valore dell’edutainment[19] per favorire l’apprendimento, un metodo mai visto con sospetto neanche dai tradizionalisti visto che riporta comunque al classico ludendo docere. Oggi l’edutainment ha ricevuto nuova linfa grazie allo sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie, della realtà aumentata e della realtà virtuale, che permettono di coniugare l’esplorazione, la simulazione e la proattività senso-motoria (prerogative del gioco) con l’apprendere. Si pensi a piattaforme gratuite che contengono simulazioni per l’insegnamento e l’apprendimento delle STEM (chimica, fisica, matematica, biologia, scienze della terra) come, ad esempio, PhET,[20] che riesce a riprodurre in maniera fedele ciò che accade nel mondo reale, permette di fare esperienze in laboratori virtuali, condividere buone pratiche e attività, etc.. Si pensi, infine, alle potenzialità delle tecnologie e dell’aspetto ludico che esse riescono a offrire nella didattica delle lingue straniere.

Riguardo all’intelligenza artificiale (AI), la definizione data nell’Enciclopedia Storia della scienza fa riferimento a una “disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana”.[21] questa definizione riassume l’aspetto più interessante di questa tecnologia, cioè quello di riprodurre i processi mentali prendendo esempio dal cervello umano o quanto meno da un suo funzionamento tipo. La domotica, i chatbot, i comandi vocai, lo stesso Google map, sono già esempi di applicazione dell’AI.

L’applicazione nella pratica didattica diventa una risorsa sorprendente se si pensa che gli algoritmi che vengono sviluppati sono in grado di  comprendere i punti di forza e le fragilità degli studenti e possono quindi elaborare curve di apprendimento accurate e  permettere l’uso di tecniche di apprendimento personalizzate. Solo per fare qualche esempio, si pensi a Elsa Speak English Learning, che usa l’intelligenza artificiale per consentire di migliorare la pronuncia e la comprensione della lingua inglese tramite l’ascolto e la ripetizione dei suoni più difficili, restituendo un feedback immediato con esercizi personalizzati per migliorare i punti deboli; o a Socratic Homework Help, che dalla foto di un esercizio (di matematica, chimica, fisica, etc.) restituisce le informazioni necessarie per poterlo risolvere; o a Thinkster Math, con un tutor personalizzato che guida lo studente sulla base del livello di competenze che rileva. L’intelligenza artificiale sta ormai entrando nelle scuole.

Conclusioni

Concludendo, insegnare nell’era digitale significa garantire un nuovo modello di scuola, caratterizzato da metodologie e tecnologie abilitanti; significa trasformare la comunità scolastica in una smart educational community che possa preparare ai lavori del futuro aggiornando, riconsiderando, riqualificando e adattando la maggior parte delle competenze attualmente in uso e, al contempo, inventandone altre di sana di pianta per rispondere ai cambiamenti imprevisti. Previsioni sulle professioni del futuro ne circolano in quantità in rete, spesso con titoli che non avevamo mai sentito nominare pochi anni fa, come ad esempio, e-commerce managers, SEO, life coaches, brokers del tempo, data analysts e scientists, big data specialists, cloud architects, etc..[22] Compito della formazione e del mondo della scuola è quello di imparare a immaginare il domani, lavori che magari non esistono ancora e che richiedono competenze e abilità per le quali gli studenti non sono stati preparati nello specifico, ma che possono però essere preparati ad acquisire rapidamente. È questa la sfida della scuola, preparare il terreno di domani con nuovi metodi di formazione che dispongano gli studenti all’elaborazione di strategie, che li spingano a risolvere problemi, che aprano la mente.


[1] J.M. Twenge, Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, piú tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti, Einaudi, Torino 2018.

[2] B. Horowits, “After Gen X, Millennials, what should next generation be?”, Usa Today 5 (2012).

[3] N. Howe e W. Strauss, “The next 20 years: How customer and workforce attitudes will evolve”, Harvard business review 85(7-8) (2007), pp. 41-52.

[4] N. Howe e W. Strauss, Millennials Rising: The Next Great Generation, Vintage Original, New York 2000. Vedi anche F. Pedró, “The New Millennium Learners: Challenging our views on ICT and learning”,  IDB Publications (Working Papers) 2432,  OECD-CERI, 2006, pp. 1-17. Vedi anche J.P. Gee, Come un videogioco. Insegnare e apprendere nella scuola digitale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013, pag.64.

[5] P. Damiani, A. Santaniello e F.G. Paloma, “Ripensare la Didattica alla luce delle Neuroscienze Corpo, abilità visuospaziali ed empatia: una ricerca esplorativa”, Giornale Italiano della Ricerca Educativa 8.14 (2015), pp. 83-105.

[6] DigCompEdu, Quadro di Riferimento europeo delle competenze digitali dei docenti e dei formatori, versione italiana, on line https://www.itd.cnr.it/doc/DigCompEduITA.pdf (ultimo accesso 04/01/2023).

[7] C. Infante (a cura di), La scuola e il web per educare on line, Netbooks, Buccinasco (MI) 1997, p. 112.

[8] Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2018 (2018/C 189/01): “La competenza digitale presuppone l’interesse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza e spirito critico e responsabile per apprendere, lavorare e partecipare alla società. Essa comprende l’alfabetizzazione informatica e digitale, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione mediatica, la creazione di contenuti digitali (inclusa la programmazione), la sicurezza (compreso l’essere a proprio agio nel mondo digitale e possedere competenze relative alla cybersicurezza), le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico”.

[9] M. Dominici, Il digitale e la scuola italiana, Editoria, Presente e Futuro 9, Ledizioni, Milano 2015, p. 405.

[10] R. Ridi, “Alfabetizzazione informativa e cittadinanza telematica: le risorse informative in rete fra globalizzazione planetaria e localizzazione metropolitana”, in R. Vecchiet (a cura di), La biblioteca, il cittadino, la città, Atti del XLII Congresso nazionale dell’Associazione italiana biblioteche, Trieste, 27-28-29 novembre 1996, AIB, Roma 1998, pp. 96-107, p. 104.

[11] Sul termine task-switching, vedi J. Palfrey e U. Gasser, “Reclaiming an Awkward Term: What we Might Learn from ‘Digital Natives’”, Journal of Law and Policy for the Information Society 7.1 (2011), pp. 33-55, p. 43: “But they are often doing more than one thing at once-or, more accurately, switching back and forth between various tasks one after another (“switch-tasking” rather than multitasking).”

[12] G. Zichermann e C. Cunningham, Gamification by Design: Implementing Game Mechanics in Web and Mobile Apps, O’Reilly Media, Sebastopol, CA 2011.

[13] Si pensi, ad esempio, all’importanza data all’esperienza dallo psicologo e pedagogista statunitense John Dewey, il quale valorizzava il ruolo della ricerca autonoma da parte dello studente: J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1992; tit. orig. Democracy and education. An introduction to the philosophy of education, Macmillan, New York 1916. Un ulteriore contributo è stato dato da Kolbe e Fry, secondo i quali la conoscenza viene creata attraverso l’osservazione e la rielaborazione dell’esperienza da parte degli studenti: D.A. Kolbe e R.E. Fry, “Toward an applied theory of experiential learning”, in C. Cooper (ed.), Theories of group processes, John Wiley & Sons, New York 1975.

[14] La realtà aumentata a metafora visiva si realizza attraverso i marker, mentre la realtà aumentata georeferenziata fa leva sui continui miglioramenti alla precisione del GPS e degli altri sistemi di localizzazione. Vedi M. Menapace, La Realtà Aumentata nell’educazione. Nuove tecnologie e cambiamento educativo, Edizioni Accademiche Italiane, Riga 2014.

[15] “Discover how to whisk your students away to museums, Mars, and more, without leaving the classroom” (Google Arts & Culture, https://artsandculture.google.com/ ultimo accesso 05/03/2023).

[16] Collezioni: https://artsandculture.google.com/partner (ultimo accesso 05/03/2003).

[17] A Martian Sensation: https://artsandculture.google.com/story/mQXx3KSjVtBnJw (ultimo accesso 05/03/2003).

[18] Swim With Sharks in 360 Degrees: https://artsandculture.google.com/story/UgWhOjcfakN4ww (ultimo accesso 05/03/2003).

[19] Il termine edutainment è stato coniato negli anni novanta da Bob Heyman, un reporter del National Geographic, ed è composta da educational (educativo) e entertainment (divertimento). Le nuove forme di creatività multimediale in ambiente educativo sono state già oggetto di studio da Carlo Infante nel 2000: C. Infante, Imparare giocando. Interattività fra teatro e ipermedia, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

[20] PhET Interactive simulations, on line https://phet.colorado.edu  (ultimo accesso 18/03/2023).

[21] M. Somalvico, F. Amigoni e V. Schiaffonati, “Intelligenza Artificiale”, in S. Petruccioli (a cura di), Storia della scienza, vol. IX, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2003, pp. 615-624.

[22] Vedi i report del World Economic Forum (WEF) del 2016 e 2018, che hanno focalizzato l’interesse sulla quarta rivoluzione industriale (4th IR) e i lavori del futuro: World Economic Forum, The future of jobs. Employment, skills and workforce strategy for the fourth industrial revolution, Ginevra 2016 (on line https://www.weforum.org/reports/the-future-of-jobs, ultimo accesso 22/03/2023); The future of jobs report 2018, Ginevra 2018, on line https://www.weforum.org/reports/the-future-of-jobs-report-2018/ (ultimo accesso 22/03/2023).

apprendimento collaborativo audio comunicazione copyrights cospaces didattic didattica didattica innovativa digital marketing escape room free freeware genially idee images immagini lettura mappa concettuale mappe concettuali marketing mindmap mondo virtuale mondo virutlae no compyrights open source pereira podcast podcasters realtà virtuale repository risorse second life stakeholders storytelling storytelling digitale video virtual life wisemap

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *