Education 4.0
Cultura partecipativa e comunità di apprendimento

Cultura partecipativa e comunità di apprendimento

Così definisce la cultura partecipativa Jenkins in un’intervista del 2021, ponendo l’accento sulla necessità di dare spazio a tutti nella produzione e circolazione della cultura:            

Henry Jenkins


intervista on line

A participatory culture is one where many people have the ability to participate, and the goal is to allow more voices to be heard

In questo articolo:

Pervasività

È la pervasività la caratteristica fondamentale dell’ondata di nuovi media che sta caratterizzando il XXI secolo, che ha ormai ridefinito gli ambienti di apprendimento nella vita di ogni giorno. Ci troviamo nel bel mezzo di una rivoluzione dell’informazione che permette livelli di accesso alla conoscenza e alle abilità senza precedenti.

Nelle giovani generazioni la comunicazione digitale trova il terreno ideale per dare vita a un nuovo modo di rapportarsi con sé stessi, con gli altri e con la realtà che ci circonda, creando sempre nuove opportunità di partecipazione digitale, le quali implicano apprendimento. La riflessione sul significato antropologico di questa trasformazione è ormai urgente ed è il mondo degli adulti e soprattutto il loro compito educativo a essere chiamato in causa in tal senso, per entrare in sintonia con la nuova cultura e sfruttarne tutte le potenzialità e risorse in ambito scolastico.

Cultura partecipativa e l’esempio di Minecraft

Gli adolescenti hanno sviluppato una nuova “cultura partecipativa” favorita dai media digitali, intendendo per cultura partecipativa le nuove modalità con cui i partecipanti interagiscono con le risorse e i contenuti messi a disposizione all’interno di una comunità mediatica, nonché con i produttori di tali contenuti e anche tra loro.[1] I videogiochi, ad esempio, coinvolgono in esperienze storiche e fantastiche e invitano alla partecipazione interazioni sociali su scala globale: si pensi al fandom createsi attorno a Minecraft,[2] videogioco che nasce dalla collaborazione tra Notch,[3] il creatore, e gli utenti ai quali chiedeva, tramite il proprio blog, di condividere opinioni e suggerimenti per modellare l’aspetto e le dinamiche di gioco.[4]

Un caso emblematico di cultura partecipativa, dove il dialogo coinvolge i players nella creazione del gioco stesso, dove non si distinguono più nettamente i confini tra il ruolo del produttore e quello dell’utente finale, ma si deve ormai parlare di produsers.[5] A differenza del già noto prosumer,[6] che identifica il consumatore che partecipa in maniera attiva alle fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo dei prodotti e servizi che compra o usa , il produser fa riferimento, nello specifico, al contenuto mediatico e all’ambiente partecipativo dei social media in cui assume un’importanza fondamentale lo UGC (user generated content), quell’universo di contenuti generati dall’utente che condividono esperienze e generano conoscenza: nel caso di Minecraft, si pensi a Minecraft Wiki, a Twitch e YouTube, popolati da comunità di utenti che generano contenuti dedicati a Minecraft (tutorial, creazioni personali come le mappe, modalità e scenari personalizzati). Una vera e propria pratica di alfabetizzazione transmediale e multimodale.[7]

L’open-world di Minecraft mostra le caratteristiche tipiche della cultura partecipativa: barriere basse per l’espressione artistica e il civic engagement, un forte sostegno alle attività di produzione e alla condivisione delle creazioni, forme di mentorship informale tra i partecipanti più esperti e i principianti, l’importanza data al contributo individuale, il legame sociale tra i membri.[8]

Si riconoscono in esso anche le forme descritte da Jenkins come tipiche: l’affiliazione, l’espressione e il problem-solving collaborativo. Le persone si affiliano al loro prodotto multimediale preferito unendosi a una community on line ed entrando a far parte di un fandom, ad esempio su Facebook, Subreddit, etc.; si esprimono producendo nuovi contenuti multimediali, ad esempio scrivendo storie o creando filmati e mash-ups; lavorando in gruppi di interesse, vengono coinvolti in attività di problem-solving collaborativo per raggiungere obiettivi comuni e creare nuova conoscenza.

Gli utenti giocatori di Minecraft non sono fruitori passivi, ma sono partecipanti attivi del processo di creazione, sono cioè i produsers di cui si è parlato sopra, utenti che contribuiscono a dare forma, creazione e interpretazione ai contenuti stessi di cui sono utenti.[9] 

È proprio questa la cultura partecipativa, una forma comunitaria che crea opportunità di condivisione, che non si basa su gerarchie e consente di partecipare significativamente alle decisioni, Scrive Jenkins: “People participate through and within communities: participatory culture requires us to move beyond a focus on individualized personal expression; it is about an ethos of “doing it together” in addition to “doing it yourself””.[10]

Una cultura di rete in crescita

Nel rapporto Leaving and Learning with New Media, frutto di una ricerca finanziata dalla MacArthur Foundation[11] sulla cultura giovanile americana, emerge che le pratiche giovanili in rapporto ai nuovi media, cioè i videogiochi on line, le piattaforme social e i dispositivi tecnologici che permettono la comunicazione forniscono una moltitudine di opportunità ai giovani, che riguardano la costruzione del sé, l’acquisizione di norme sociali, dell’autonomia, la capacità di gestione dell’apprendimento, il consolidamento dei rapporti di amicizia, la comunicazione e l’espressione individuale.

Il nostro sistema educativo si trova nel bel mezzo di questo cambio di paradigma, in cui si rende necessario acquisire nuovi metodi, ambienti e modelli di valutazione per stare al passo con una cultura di rete in crescita esponenziale. La cultura partecipativa, così come sopra descritta, deve essere compresa e valorizzata nella realtà scolastica, sicuramente complessa e difficile; necessità di una proposta formativa più ampia che possa valorizzare le nuove modalità di espressione dei ragazzi, che usi paradigmi fondati sulla cooperazione piuttosto che sul controllo, che sfrutti risorse informative ed educative coerenti con il funzionamento emotivo ed affettivo degli studenti adolescenti di oggi.

La lentezza con cui il mondo della scuola reagisce all’emergere della cultura partecipativa è dovuto principalmente alla paura esagerata dei rischi e pericoli legati ai social media e dalla scarsa fiducia nelle promesse della società delle reti. Eppure, oggi, si parla tanto della necessità impellente di fondare la pratica didattica sul rapporto sinergico tra il contesto scolastico e quello extrascolastico, di combinare l’ambiente di apprendimento tradizionale con le comunità di apprendimento informali.

È la tanto auspicata integrazione tra scuola ed extrascuola diffusa con il documento PNRR, vale a dire la possibilità di utilizzare gli spazi del territorio (dai giardini, ai musei, alle sedi di associazione) magari in collaborazione anche con gli enti locali.[12] Le competenze culturali e le abilità sociali che permettono ai ragazzi di orientarsi nel mondo dei nuovi media[13] si costruiscono proprio nella comunità e si sviluppano con la condivisione e la collaborazione, con il problem solving collaborativo.

Gli ambienti creati dalle nuove tecnologie, Internet e le risorse on line, favoriscono l’acquisizione di queste abilità, ma perché l’azione diventi efficace sono necessarie risorse informative diversificate da cercare, costruire in collaborazione e condividere. Spazi aperti per l’azione, quindi, dove si sviluppino percorsi di educazione mediale sia attraverso attività  scolastiche che extrascolastiche, collegate in sinergia tra realtà e simulazione. 

Le opportunità fornite dal web 4.0 (partecipazione, interazione e oggi anche realtà aumentata), possono condurre a quella competenza partecipativa (la cosiddetta participation literacy) e collaborativa necessarie a sviluppare un’intelligenza a misura di rete: la capacità di condividere con altri e ricevere risorse come informazioni, conoscenze e dati, di comprendere sia i rischi che le possibilità della condivisione. In breve, forniscono gli strumenti e le abilità per muoversi nel panorama mediatico delle nuove tecnologie.

L’intelligenza connettiva

È in questo contesto che può esprimersi al massimo della sua espressione quella che Derrick De Kerckhove ha definito “intelligenza connettiva”,[14] il collante tra le persone, i pensieri e  i contesti.

Il concetto di intelligenza connettiva spiegata dallo stesso Derrick de Kerckhove

Questo concetto, che riporta alla teoria dello “sciame intelligente” descritto da Mazzucchelli come quel fenomeno di produzione di informazione e auto-organizzazione tipica della reciprocità di azioni che caratterizza lo sciame di api,[15] richiama quindi l’idea della connessione, del network, cioè la capacità di mettere in relazione le intelligenze individuali, condividendole e quindi moltiplicandone le potenzialità.

Un ambiente di apprendimento realmente innovativo è quello che attiva l’intelligenza connettiva, un ambiente in cui lo studente non si configura più come il singolo studente che segue, passo dopo passo, un percorso didattico pianificato e fissato dai docenti, ma è coinvolto in attività collaborative e attive di conquista della conoscenza, in condivisione con i compagni. Le nuove tecnologie e i software di oggi devono essere sfruttati in tal senso, perché generano connessioni, reticolarità e una spiccata socialità, supportando le comunità di studenti che nascono in aula.

La partecipazione e l’interazione, che Internet consente nel contesto scolastico, possono contribuire a favorire il tanto auspicato incontro tra le risorse della scuola e dell’extrascuola, un ponte tra la realtà scolastica (cioè la “comunità di apprendimento e costruzione della conoscenza”) e le pratiche di uso nel contesto sociale (appunto l’extrascuola), dove la partecipazione è motivata dall’interesse. Quelle modalità e quei canali che i ragazzi usano per interagire ed esprimere i propri interessi possono pertanto intrecciarsi con i percorsi scolastici e contribuire a portare in aula l’immenso patrimonio di collegamenti e di saperi informali.

Le nuove tecnologie

Risulta ormai chiaro che questo processo non potrebbe esistere senza le tecnologie innovative che sono ormai il motore dinamizzante del XXI secolo e che oggi ci invitano e invogliano a sviluppare nuove forme di espressione. In tal senso, nel contesto didattico-formativo, si costituiscono le comunità delle conoscenze e le comunità di apprendimento. La prima, per usare le parole di Paolo Ardizzone, come “attività sociale nella quale la tecnologia gioca un ruolo importante per l’archiviazione, l’organizzazione e la riformulazione delle idee di cui sono portatori i singoli membri della community”; la seconda, come attività sociale in cui “gli studenti condividono interessi conoscitivi comuni e le tecnologie della comunicazione connettono i partecipanti in una classe telematica, concepita come terreno di incontro e di lavoro in vista di comuni obiettivi di apprendimento”.[16]

Le implicazioni positive per il contesto scolastico sono enormi, in quanto basa ogni attività di apprendimento sulla motivazione, costruzione attiva, interattiva e collaborativa dell’apprendimento, che parte dai problemi reali da condividere e superare in modo autentico con l’intero gruppo classe. Bianca Maria Varisco usa l’espressione “community of learners”,[17] facendo riferimento a una comunità in cui l’apprendimento è attivo e quindi si attivano processi di natura metacognitiva; in cui si genera una forte base dialogica; in cui l’apprendimento è contestualizzato e quindi le azioni sono finalizzate a scopi consapevoli, dichiarati e condivisi; in cui pratica e teoria si affiancano.

Nella “community of learners”, inoltre, la presenza di risorse, di ruoli e di competenze diversificate moltiplicano le “zone di sviluppo prossimale”, cioè quelle che per Vygotskij sono potenzialità cognitive latenti che si esprimono nell’interazione con altri.[18] Il web, d’altra parte, per sua caratteristica, è “una zona di sviluppo prossimale” virtuale, perché stimola all’interazione comunicativa e informativa.

Le possibili espressioni didattiche di tali comunità sono esemplificate da Ardizzone e Rivoltella come comunità di discorso, di pratiche, di costruzione della conoscenza e di ricerca:[19]

  • la comunità di discorso è incentrata sulla conversazione, quindi sulla discussione informale e sull’atteggiamento critico tramite l’uso del web, le chat room, i web forum o semplicemente conversando in rete;
  • la comunità di pratica riporta in causa il concetto di apprendimento situato, in quanto si apprende condividendo esperienze tramite varie attività di collaborazione;
  • la comunità di costruzione della conoscenza è quella in cui lo studente non si limita a essere un consumatore di informazioni ma è egli stesso produttore di conoscenza, in quanto detentore di specifiche competenze dalle quali partire per realizzare un percorso formativo comune;
  • la comunità di apprendimento è un ambiente di ricerca cooperativa che si realizza quando i membri condividono gli stessi interessi e obiettivi.

La scuola di oggi deve iniziare a supportare gli studenti creativi e innovativi, che hanno l’abilità di usare e creare informazione negli ambienti dei nuovi media e che si dimostrano abbastanza flessibili da sviluppare abilità per una nuova vita e carriera. Da qui si può partire affinché l’innovazione digitale si adatti alla creatività sociale che emerge dalle comunità sopra descritte. In tal senso, si parla di una strategia evolutiva che viene definita dalla Italia Smart Community[20] “innovazione adattiva”, una strategia evolutiva che riguarda l’adattamento dell’innovazione digitale alla crescita di una consapevolezza d’uso dei nuovi media da parte degli studenti di oggi e degli stakeholder della scuola.

Carlo Infante spiega cos’è l’innovazione adattiva

[1] H. Jenkins,  Confronting the challenges of participatory culture: media education for the 21st century, The MIT Press, Cambridge, MA 2009, trad. it. P. Ferri e A. Marinelli (a cura di), Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, Guerini Studio, Milano 2010.

[2] Minecraft , Mojang, Stoccolma novembre 2011. D. Goldberg e L. Larsson, Minecraft: The real inside story of Markus ‘Notch’ Persson and the gaming phenomenon of the century, Penguin Random House, Londra 2013; D.J. Niemeyer e H.R. Gerber, “Maker culture and Minecraft: Implications for the future of learning”, Educational Media International 52.3 (2015), pp. 216-226. Vedi anche gli studi sull’uso di Minecraft per scopi educativi: A. Overby e B.L. Jones, “Virtual Legos: Incorporating Minecraft into the art education curriculum”,  Art Education 68.1 (2015), pp. 21-27; D.B. Short, “Teaching scientific concepts using a virtual world – Minecraft”, Teaching Science: The Journal of the Australian Science Teachers Association 58.3 (2012), pp. 55-58; C. Thompson, “The Minecraft generation: How a clunky Swedish computer game is teaching millions of children to master the digital world”, New York Times 14 aprile 2016 (on line https://www.nytimes.com/2016/04/17/magazine/the-minecraft-generation.html, ultimo accesso 31/01/2023).

[3] Markus Alexej Persson, altrimenti conosciuto come Notch, creatore di Minecraft.

[4] A. Leavitt, “Crafting Minecraft: Negotiating Creative Produsage – Driven Participation in an Evolving Cultural Artifact”, Selected Papers of Internet Research 3 (2013), pp. 1-32.

[5] Il termine produser, composto dalla combinazione dell’ingl. producer “produttore” e user “utente”, fa riferimento a coloro che usano informazioni on line e, al contempo, le producono e/o creano affinché altri li utilizzino. I termini produser e produsage sono stati utilizzati per la prima volta dallo studioso australiano Axel Bruns.

[6] Il termine è stato coniato dal saggista statunitense Alvin Toffler, che ne parlò per la prima volta nella sua opera “The Third Wave” già nel 1980: A. Toffler, The Third Wave, William Morrow & Company, New York, 1980.

[7] B. Joseph, “Minecraft and the future of transmedia learning”, Pop Junctions (23 aprile 2015), on line http://henryjenkins.org/blog/2015/04/minecraft-and-the-future-of-transmedia-learning.html (ultimo accesso 31/01/2023).

[8] H. Jenkins, Confronting the challenges, cit., p. 57.

[9] A. Bruns, Blogs, Wikipedia, Second Life, and beyond: From production to produsage, Peter Lang, New York 2008, p. 21.

[10] H. Jenkins M. Ito e D. Boyd, Participatory Culture in a Networked Era, Polity Press, Cambridge  2016, p. 181.

[11] M. Ito et al., Living and learning with new media: summary of findings from the digital youth project., MIT Press, Cambridge, MA 2009.

[12] D.M. 170 del 24 giugno 2022, p. 6. Vedi il sito MIUR dedicato al piano https://pnrr.istruzione.it/ (ultimo accesso 27/01/2023).

[13] Jenkins, Confronting the challenges of participatory culture, cit., p. 60.

[14] Il concetto viene diffuso per la prima volta in Italia da Derrick de Kerckhove nel 1996, durante Mediartech, la mostra mercato della multimedialità e telematica di Firenze e si basa sulla teoria dell’intelligenza collettiva di P. Lévy: D. De Kerckhove, L’intelligenza connettiva: l’avvento della Web Society, FilmAuro, Roma 1999.

[15] C. Mazzucchelli, Nei labirinti della tecnologia. Bibliografia ragionata tra nuove e vecchie forme di tecnofilia e tecnofobia!, Edizioni ebook Delos Digital, Milano 2014, p. 46.

[16] P.C. Rivoltella, Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line. Società e didattica in Internet, Erickson, Trento 2003, pp. 238-239.

[17] B.M. Varisco, “Le teorie e le pratiche didattiche”, in L. Galliani, F. Luchi e B. M. Varisco, Ambienti multimediali di apprendimento, Pensa Multimedia, Lecce 1999, pp. 117- 162, p. 143.

[18] Vygotskij, op. cit.. Significa che il singolo sperimenta una zona di sviluppo prossimale e, allo stesso tempo, riconosce all’interno della comunità dei pari la presenza di un altro singolo più esperto che può supportarlo nell’acquisizione e nella costruzione della conoscenza. Attraverso l’interazione con gli altri membri della comunità, le nuove informazioni si ancorano quindi a processi già consolidati e quindi avviene l’interiorizzazione della conoscenza.

[19] P. Ardizzone e P.C. Rivoltella, Media e tecnologie per la didattica, Vita e Pensiero, Milano 2008, pp. 86-89. Vedi anche D.H. Jonassen, K.L. Peck e B.G. Wilson, Learning with technology. A constructivist Perspective, Prentice Hall, Upper Saddle River 1999.

[20] Italia Smart Community è un network pubblico-privato che ha come obiettivo la costruzione di una società digitale e sostenibile finalizzata a una maggiore fruibilità del patrimonio culturale e allo sviluppo del turismo sostenibile: https://www.italiasmartcommunity.it/ (ultimo accesso 018/02/23).

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